A distanza di circa 10 mesi (era il 7 ottobre dell’anno scorso) dall’attacco di Hamas ai “territori” israeliani, il vertice dell’organizzazione terroristica è stato decapitato. Con un’azione non nuova per i servizi segreti di Israele, Haniyeh, il leader di Hamas è statoucciso nel pieno centro di Teheran. Un’azione “chirurgica”, che non ha provocato altre vittime oltre alla sua guardia del corpo, assumendo quasi il tono di una vera e propria “provocazione” nei confronti dell’Iran: non solo viene eliminato quello che viene ritenuto il principale responsabile dell’attentato di quasi un anno fa, ma la sua uccisione avviene nel posto probabilmente ritenuto “più sicuro” per lui, nella capitale del Paese notoriamente più vicino e probabilmente mandante del gruppo terroristico. Solo un paio di giorni fa era stato eliminato Fuad Shukr, ritenuto il responsabile dell’attentato di Hezbollah in cui sono stato uccisi 12 bambini drusi al confine con Israele, mentre il 13 luglio era stata la volta di Mohammed Deif, ritenuto il capo militare di Hamas.
Vista l’importanza e la “visibilità” della vittima, le prime reazioni, con minacce di ritorsioni e attacchi a Israele, rientrano nell’assoluta “normalità”: in primis in quanto l’azione militare è stata portata nella capitale (e già questo è un simbolo) di un Paese straniero. Secondo, in quanto, guarda caso, nel Paese considerato il vero nemico, pronto ad armare chiunque (Hamas, Houti, Hezbollah) voglia “annientare” il “male” (cosa ben diversa sarebbe se a scendere in campo fosse direttamente Teheran e il suo esercito). Terzo volendo comunque fornire un sostegno “propagandistico” ad un’organizzazione che si viene a trovare di colpo senza il proprio leader e, di conseguenza, di “perdere i pezzi”.
Ancora una volta, quindi, l’equilibrio mondiale passa attraverso il medio-oriente. Non a caso oggi dominano, sui vari media, pagine dedicate ai possibili scenari che possono verificarsi, da quelli più apocalittici a quelli quasi di “routine”, con azioni che non vanno oltre una volontà puramente “dimostrativa”.
L’uccisione di Haniyeh, come noto, è avvenuta quando a Teheran era notte: ben prima, pertanto, che i mercati occidentali aprissero le contrattazioni. E’ altrettanto noto che, all’accadimento di fatti particolarmente gravi sul fronte geo-politico, immediato sia l’impatto che si genera sui mercati finanziari: corsa ai beni rifugio, acquisto di asset difensivi, fuga dal rischio. Nulla di quanto successo ieri: l’oro praticamente non si è mosso, il $ ha messo a segno una moderata volatilità (prima è salito, poi è sceso, infine si è confermato sui valori del giorno precedente), mentre gli indici borsistici hanno messo a segno veri e propri rimbalzi (Nasdaq + 3,01%, S&P 500 + 1,58%, Londra + 1,13%, Parigi + 0,76%, con l’unica eccezione di Milano, appesantita dalle prese di beneficio sul settore bancario, che comunque ha limitato il ribasso allo 0,43%).
La prima lettura, quindi, che i mercati finanziari (da sempre “termometro” per misurare la gravità di quanto succede in giro per il mondo, non solo per quanto riguarda la geo-politica) hanno dato è piuttosto rassicurante: una rassicurazione confermata anche questa mattina, guardando a quello che è l’andamento dei futures, piuttosto positivi (anche se più cauti rispetto a ieri). A dominare la scena sono, a ribadire che l’ipotesi di un’escalation militare e di una ripresa del terrorismo sono eventualità ritenute, per il momento, poco attendibili, invece, le notizie provenienti dall’economia.
Ieri si è svolta l’ultima riunione “estiva” della FED (il prossimo meeting è in calendario il 17-18 settembre, preceduto “dall’intermezzo” di Jakson Hole, il tradizionale simposio, promosso dalla FED e a cui partecipano i Presidenti delle maggiori Banche Centrali, oltre che esponenti del mondo finanziario, previsto per il 22-24 agosto, da cui si dovrebbe capire meglio “dove va il mondo”), che ha lasciato, ancora una volta (come ampiamente previsto) le cose invariate, con i tassi americani al 5,25/5,50%. Peraltro, ormai si tratta di aspettare poco più di un mese: oltre l’85% degli esperti prevede che Powell, con buona pace di Trump (il tycoon non perde occasione di ricordare al Presidente della FED che sarebbe opportuno “non toccare nulla” sin dopo le elezioni del 5 novembre (è evidente il timore che il taglio dei tassi potrebbe dare una spinta all’economia, fornendo “armi di propaganda” all’amministrazione democratica – e quindi alla candidata Kamala Harris – di “appropriarsi” il merito di portare “benessere e prosperità” al popolo americano) a settembre inizierà a “cambiare passo”, dando il via ad una nuova fase (che potrebbe portare anche a 3 tagli entro dicembre). Ad avvalorare questa tesi alcune “mezze parole” sull’inflazione, definita ancora “un po’” elevata (fino a ieri era “elevata”), ma che si sta avvicinando al livello tanto atteso (a giugno è scesa al 2,5%, non lontana, quindi, dal 2% indicato come “il traguardo”). Da qui la “benzina” che ha “infiammato” ieri Wall Street e che ha scatenato le ricoperture sul settore tech, preso di mire nelle ultime 2 settimane, dopo i massimi fatti toccare a metà luglio.
Il mese di agosto inizia con i mercati a due velocità.
La decisione della Bank of Japan di portare i tassi allo 0,25% (con un rialzo del + 0,15%) sta dando una rinnovata forza allo yen, che, rispetto ai minimi contro $ fatti registrare ad inizio luglio, ha recuperato oltre il 7,5%. Di contro, ad essere penalizzato è l’export, che perde la spinta del cambio favorevole. Ecco, quindi, che oggi l’indice Nikkei è in caldo di circa 2,5 punti percentuali, zavorrato dalle società più sensibili alle esportazioni.
Shanghai si è portata poco sotto la parità, mentre a Hong Kong l’Hang Seng ha recuperato il “segno verde”.
Futures ancora in ripresa a Wall Street, mentre in Europa l’EuroStoxx per il momento fa segnare – 0,20%.
Petrolio che cerca la via della risalita, con il WTI a $ 78,57 (+ 0,73%).
Gas naturale Usa a $ 2,065.
“Brilla un po’ di più” l’oro, che fa segnare $ 2.465 (+ 0,57%), ad un passo dal record storico.
Spread a 134,9 bp.
BTP 3,64%.
Bund 2,29%.
Ormai ad un passo della soglia psicologica del 4% il Treasury Usa (4,04%, dal 4,14% di mercoledì).
€/$ a 1,0815.
Bitcoin che scende sotto i $ 65.000 (64.382).
Ps: Roma brucia. Nulla di nuovo, si dirà, visto che uno degli avvenimenti più noti della Storia è l’incendio che, nel 64 d.c., distrusse la città, le cui cause vengono imputate alla “follia” di Nerone, che, partendo dalla distruzione che ne seguì, ne voleva una più moderna e meno fatiscente. Questa volta a bruciare, peraltro, è solo un quartiere (Monte Mario) e non, come allora, 10 su 14. Cosa, comunque, non meno grave. Primo, in quanto si parla di una zona centrale. Secondo perché pare che l’incendio sia divampato (e sfuggito al controllo) in un accampamento abusivo sulle pendici della collina. Corre l’anno 2024 d.c.: parliamo della nostra capitale. E parliamo di un accampamento abusivo in uno dei quartieri più noti. Come dire: tutti sapevano. Ma, evidentemente, non è sufficiente che tutti sappiano. Ancora una volta la differenza la fa il fare. O il non fare.